Il desiderio dell’analista, clinica e politica
Il desiderio dell’analista, clinica e politica
16-17 GIUGNO 2018
Palazzo Re Enzo – Piazza del Nettuno 1/C – Bologna
Nella prima lezione del Seminario XI Lacan si domanda: “Che cosa dev’esserne del desiderio dell’analista perché egli operi in modo corretto?” e prosegue poco oltre: “Il desiderio dell’analista […] non può affatto essere lasciato fuori dalla nostra questione, per la ragione che il problema della formazione dell’analista lo pone” (p. 12).
Parlare di desiderio dell’analista pone come centrale il tema della formazione analitica. Già Freud aveva messo in rilievo che un analista si forma fondamentalmente nella sua analisi, cioè in un’esperienza. Non senza una formazione teorica, la quale, tuttavia, in assenza dell’esperienza analitica, non porterà che a un sapere di tipo universitario.
Con la formula “desiderio dell’analista”, Lacan introduce il campo su cui l’analisi deve avere incidenza perché dell’analista possa prodursi, il campo del desiderio. Non si tratta di accumulo di nozioni, o di maggiore o minore capacità intellettuali, bensì di un’esperienza, quella analitica, che ha un’incidenza sul piano del desiderio e ne produce una trasformazione: dal desiderio del soggetto, opaco a lui stesso, che si cerca di saturare con oggetti del mondo, alla scoperta, che solo l’analisi può consentire, del fatto che, come diceva Freud, il desiderio è indistruttibile, in quanto c’è un oggetto che lo causa e che è perduto, che sta a monte, ma non c’è un oggetto che lo soddisfa, che possa saturarlo. Da un desiderio che si sostiene, come dice Lacan, sul desiderio dell’Altro, genitivo sia oggettivo che soggettivo, a un desiderio che si sostiene su niente. Per operare questa trasformazione, sarà necessario che l’esperienza sia condotta almeno fino al punto in cui quell’oggetto che causa il desiderio abbia mostrato la sua faccia di godimento, lo scarto a cui il soggetto stesso è ridotto, e che se ne sia potuta prendere la distanza.
Già alcuni anni prima del Seminario XI, Lacan aveva commentato la nozione di controtransfert, introdotta ed elevata alla dignità di concetto dagli analisti post freudiani, a partire da un ideale di “neutralità analitica” che consentirebbe all’analista di funzionare come una sorta di cassa di risonanza del paziente, essendosi purificato da qualsiasi dimensione soggettiva. Lacan oppone al controtransfert il concetto di desiderio dell’analista. Nel Seminario VII scrive “Non vi è motivo di affermare che il riconoscimento dell’inconscio pone di per sé l’analista al di fuori della portata delle passioni”. (p. 202). Tuttavia, aggiunge, egli “è posseduto da un desiderio più forte dei desideri di cui potrebbe trattarsi” (p. 204) in quanto si sia prodotta per lui “una mutazione dell’economia del desiderio”.
Successivamente giungerà a specificare il concetto di desiderio dell’analista come desiderio di ottenere la differenza assoluta. Il desiderio dell’analista è ciò che anima l’analisi, ciò che spinge il soggetto a dire, ma che non punta a nulla se non a che il soggetto in analisi possa scoprirsi nella sua differenza assoluta, appunto, al di là di ogni identificazione, immaginaria o simbolica. Al termine dell’analisi, una volta consumate tutte le identificazioni, si tratta di assumere che non c’è modo di dire chi o cosa sono per l’Altro, e neppure chi o cosa sono tout court: in questo senso si produce della differenza assoluta.
La dimensione politica del desiderio dell’analista può dunque cogliersi a partire da questo punto, inedito e inaudito, a cui l’analisi spinge ciascuno che voglia passare per questa esperienza. Se assumiamo che il desiderio dell’analista spinge verso l’ottenere la differenza assoluta, cogliamo come questa posizione sia sovversiva rispetto alla logica dominante, oggi ugualmente, anche se diversamente, da ieri.
Il legame sociale contemporaneo costruisce categorie sempre nuove in cui collocare tutto ciò che disturba il buon funzionamento della macchina produttiva. Questo produce effetti soggettivi diversi: avremo da un lato coloro che, in mancanza di riferimenti simbolici, si trovano a cercare con angoscia qualcosa che offra loro una garanzia di identità e di appartenenza, dall’altro coloro che, eccedendo le categorie e non piegandosi al servizio del padrone contemporaneo, si trovano a occupare la posizione di resto intrattabile, scarto espulso dal legame sociale.
Poniamo che il desiderio dell’analista sia l’operatore che può far presente, in uno studio così come in una istituzione, una posizione che sovverte la logica dominante, dal momento che non domanda, non educa, non riporta alla normalità, non punta al bene, ma, ponendo come bussola il reale del godimento, può consentire a ciascuno di trovare la propria invenzione inedita per fare legame.
La declinazione del desiderio dell’analista di fronte alle forme contemporanee della soggettività, dove prevale la dimensione dell’identità preformata e la rivendicazione, o la condizione di scarto del legame sociale;
il desiderio dell’analista, come ciò che può essere verificato solo a posteriori, a partire dall’atto analitico e dai suoi effetti;
il desiderio dell’analista come dimensione che, non avendo alcuna finalità prestabilita, può sostenersi solo sull’etica dell’uno per uno, senza garanzia se non nella possibilità della sua verifica…
Questi sono alcuni dei temi intorno ai quali chi voglia presentare un caso clinico per le sessioni simultanee del Convegno è invitato a presentare una proposta di intervento.
Le proposte, che non devono superare le 8.000 battute spazi inclusi, devono pervenire entro il 31 marzo all’indirizzo presidenza@slp-cf.it.
Paola Bolgiani
Fonte: www.slp-cf.it