L’ISdSF JL è un istituto di formazione alla psicoterapia che ha i suoi riferimenti nella scoperta di Freud, così come rivista e completata dagli apporti di Jacques Lacan e del suo “lettore” J-A Miller. Pur mantenendo la coerenza dei suoi riferimenti epistemologici, il suo percorso formativo non disconosce gli apporti degli altri grandi psicoanalisti post freudiani, quali Melanie Klein, Donald Winnicott e Wilfred Bion. Avendo presenti le variabili che contribuiscono alla costituzione dell’essere umano, e gli avanzamenti delle conoscenze, il suo orientamento pone una particolare attenzione – seguendo in questo le indicazioni di Freud e Lacan – al sapere reso disponibili dalle altre scienze che lo hanno per oggetto, tra queste: l’antropologia, l’etologia umana, la sociologia, le nuove scienze cognitive la linguistica e la neuropsicologia.
La scoperta di Freud, la cui portata scientifica è confermata oggi anche dalle scoperte delle neuroscienze (v. Damasio, ecc.), si presenta come un insieme di teorie psicologiche e come una tecnica esplorativa dei processi psichici, ma essa è soprattutto un sistema complesso ed ampiamente sperimentato di metodologie di intervento e cura. Sia la sua teorizzazione che le modalità con le quali trova applicazione nella clinica, hanno attraversato in maniera mirabile le mutazioni sociali dell’ultimo ventennio che la immaginava non più adeguata a rispondere ai bisogni dell’uomo post-moderno. L’attualità della ricerca e della clinica, al contrario, non solo ne confermano la piena validità, ma la indicano in manera sempre più chiara come la scienza e la clinica della quale ha bisogno la società detta “senza inconscio”. In verità l’emergere sempre più massiccio di sintomatologie a precisa connotazione isterica, appare come una precisa invocazione dell’inconscio ad essere ascoltato. La psicoanalisi è pronta: ben tornata isteria!
Una psicoanalisi non più legata agli aspetti formali della pratica classica (lettino, ritmo delle sedute, tempo delle stesse, gestione rigida del transfert, ecc.) – giunta a tale evoluzione grazie alla rielaborazione che ne hanno fatto Lacan ed i suoi allievi – affronta i sintomi della contemporaneità con padronanza e dimostrandosi assolutamente capace di rispondere nella maniera migliore alla richiesta di aiuto che le viene rivolto.
Avendo posto a suo fondamento l’esistenza di dinamiche non sottoposte al diretto controllo razionale del soggetto e che il suo inventore ha indicato come inconsce, mantiene sempre costante la sua validità. Ciò le é possibile perché le questioni delle quali si occupa appartengono alla struttura costitutiva dell’essere umano, e pertanto lo accompagnano in maniera ineluttabile, mentre mantiene costante la sua operatività, perchè si assoggetta a continue verifiche e ad adattamenti alle variazioni del sociale.
Alle puntualizzazioni ed ai perfezionamenti che già Freud stesso le aveva costantemente apportato, continuano ad aggiungersene altre da parti di quanti ne hanno seguito le indicazioni. A queste si sommano le conferme della validità del metodo, provenienti: sia dalle evidenze della clinica che dalle recenti scoperte delle neuroscienze. Gli psicoanalisti più illuminati infatti non rifuggono il confronto con le scienze positive, dalle quali ricevono costanti conferme sugli effetti che le pratiche di cura che operano attraverso l’ascolto e la parola, hanno sui processi cerebrali.
Sappiamo anche come la teorizzazione psicoanalitica non ha mai mancato di sorprendere per la sua capacità di rendere comprensibili le dinamiche che presiedono ai comportamenti umani, tanto normali quanto patologici.
Freud – andando ben oltre il metodo catartico fondato sull’ipnosi, e contestando l’idea di Breuer di un restringimento del campo di coscienza – ha elaborato la sua teoria, ponendo a suo al fondamento della quale ha posto l’esistenza di un “conflitto” interno al soggetto. Tale “conflitto”, nella sua concezione originaria, evidenziava l’esistenza di “energie contrapposte”: la “vita pulsionale” da una parte e le “istanze di controllo” dall’altra, queste ultime rese necessarie dalla appartenenza del soggetto al mondo della civiltà. Concetti, processi e meccanismi, questi, che, aldilà della terminologia presa in prestito da Freud dal linguaggio specifico della scienza del suo tempo, appartengono ormai al patrimonio culturale di tutte le scienze umane.
Il malessere soggettivo viene quindi concepito come l’effetto di una disarmonia (conflitto) tra le “istanze”, mentre il sintomo è una produzione finalistica, seppure inconsapevole, che ha un fondamento ed uno scopo. Queste premesse fanno sì che uno delle tappe del percorso terapeutico diventi quella di accompagnare il soggetto nella ricostruzione degli aspetti e dei passaggi cruciali della sua storia, affinché egli non solo possa riappropriarsene, ma possa anche elaborare nuove e più adeguate modalità di rapporto con le questioni fondamentali della sua esistenza.
Potrà così – disponendo di nuovi e più adeguati modelli di comportamento – modificare, rendendolo più funzionale: il suo rapporto con se stesso, con gli altri soggetti implicati nel suo sistema di relazioni, primariamente con le figure del circuito parentale e, per estensione, con tutto il resto del suo mondo.
Pur essendo l’essere umano un effetto della selezione naturale – Freud è attento alla scoperta darwiniana – tuttavia il grande Viennese dimostra come sia l’elemento sovrastrutturale culturale a costituirne la peculiarità.
I miti fondamentali, presenti in ogni cultura – nella lettura che egli ne fa – dimostrano come l’essere umano si è, da tempo immemore, confrontato con le alcune questioni cruciali per la sua sopravvivenza. Tra queste le più importanti sono quelle che attengono alla gestione dei rapporti con l’Altro (madre, padre, sistemi di parentela, altro del sociale, ecc.) dal quale ha ricevuto il suo esistere, dal quale ha bisogno di essere riconosciuto (ed amato), dal quale, in breve, dipende. Questa condizione di dipendenza strutturale, è anche il punto di maggiore fragilità e spesso la causa della sua sofferenza.
Gli elementi, culturale e relazionale, che costituiscono lo specifico di ogni singolo soggetto, trovano la loro massima espressione nel Sistema simbolico che li rappresenta e che li rende operativi. Di questo Sistema, la principale manifestazione, e ad un tempo il suo supporto, è il linguaggio.
Il potere della parola – fondativo per l’essere umano al punto che porterà J. Lacan a definirlo il “parlessere” – è tale non solo nel produrre sofferenza, ma anche – se utilizzato in maniera opportuna – effetti di guarigione. Ciò è quanto avviene, ad esempio, nelle pratiche di cura psicoterapiche.
Non a caso “Talking cure” è la definizione che diede della tecnica che Freud stava scoprendo, la sua prima famosa paziente. Al riguardo Freud avrà anche occasione di osservare – in particolare grazie alla sua esperienza clinica con le isteriche – il diretto rapporto esistente tra la mente ed il corpo, e come quest’ultimo possa “parlare”, giusto attraverso il sintomo, rendendo interpretabile quanto l’io cosciente non è in condizione di riconoscere a se stesso. Con queste premesse, la cura, – almeno nella prima fase della scoperta freudiana – ebbe come fine quello di favorire la verbalizzazione di quanto rimosso.
La presenza di vissuti emotivi, intensi ed anche contrapposti, odio non meno che amore, permise a Freud ed a quanti ne hanno verificato man mano nella pratica clinica la sua scoperta (dalla Klein a Winnicott a Bion e oltre), di confermare l’ipotesi che vi sia una origine infantile delle nevrosi, evidenziabile anche attraverso il “trasferimento” di emozioni dalle figure parentali primarie al terapeuta. Ne consegue che il “motore” della cura è il transfert, cioè: l’insieme dei sentimenti che il paziente mette in gioco nel rapporto con il terapeuta, e che possono anche comportare una riedizione di eventi e sensazioni non più presenti alla coscienza.
La combinazione di parola e transfert rende possibile, e spesso utile a favorire la guarigione, l’interpretazione, altro momento focale del trattamento.
Sulla logica della cura, sulla funzione del transfert e sull’uso dell’interpretazione, novità significative sono state introdotte nel dopo Freud. Tuttavia, anche con queste innovazioni, il transfert e l’interpretazione restano punti chiave di una psicoterapia ad indirizzo psicoanalitico.
Sempre a proposito delle trasformazioni introdotte nella teoria freudiana, si rende opportuno sottolineare – senza porre limitazioni al valore del loro apporto – come le modifiche introdotte, in particolare da alcuni post-freudiani americani (ad es. Hartman, Kris, Lowenstein, Rapaport, ecc.), di fatto si configurano come delle variazioni talmente radicali della teoria freudiana, da renderla altra cosa. In particolare il disconoscere la priorità dell’azione dell’inconscio sull’Io, ha comportato (v. l’Ego psychology) una riduttiva psicologizzazione della psicoanalisi.
È per questo che ci appare interessante e stimolante ricordare come contro questa operazione abbia combattuto la sua “battaglia” anche Jacques Lacan, geniale e controverso post-freudiano. Strutturalista, orientato dall’antropologia di Levy-Strauss e dalla linguistica di De Saussure; lettore attento di Freud – nonché di grandi filosofi e scrittori, quali Hegel e Joice – Lacan avrà cura di rimettere al centro della attenzione l’inconscio, i suoi meccanismi ed i suoi effetti sulla vita del soggetto. Superando, nel fare ciò, la lettura classica del sintomo come evento psicopatologico, e mostrando la relazione esistente tra l’inconscio ed il linguaggio, ha evidenziato come il secondo possa operare sul primo, grazie anche al fatto di essere strutturati ambedue allo stesso modo.
Su questi ultimi temi, precisamente: sulla presenza e sulla azione svolta dai contenuti non presenti alla coscienza e sul ruolo del linguaggio, le neuroscienze hanno, nell’ultimo decennio, fornito conferme ed indicazioni di estremo interesse. Pertanto – se pure va certamente puntualizzato che il concetto di inconscio del quale si tratta nella psicoanalisi non è totalmente coincidente con il non cosciente esplorato e quantificato dalle neuroscienze – tuttavia la logica dei due processi presenta punti di interessante convergenza. Questi, ad oggi, sembrano dimostrare come l’affermazione di Freud che: l’Io non è padrone in casa sua!, trova una precisa conferma, anche nei meccanismi generali di funzionamento dei processi cerebrali.
La pratica della psicoterapia orientata dalla psicoanalisi – nella concezione cui fa riferimento l’Istituto Superiore di Studi freudiani – non è rigidamente vincolata – seppure nel rispetto della logica della forma classica, così come praticata dagli psicoanalisti che ne conservano l’ortodossia – da quelli che appaiono riferimenti utili, ma non fondamentali per la attuazione del processo di cura, quali, ad esempio, il setting (lettino, scansione e tempi della sedute, ecc.).
Tenendo conto delle esigenze del momento storico e della mutata tipologia della domanda di aiuto, al centro della logica della cura non vengono poste le questioni formali della tecnica, ma quelle, ritenute sostanziali. Tra queste l’ascolto del soggetto nella sua particolarità, e l’accompagnarlo verso la presa di possesso della sua storia particolare e dei momenti cruciali che l’hanno scandita.
L’attenzione principale viene quindi riservata nell’accompagnare l’allievo in formazione verso la acquisizione della capacità di mantenere una valida posizione etica nel suo rapporto con il paziente, nella conoscenza e nel padroneggiamento della tecnica, non senza una giusta elasticità nella sua utilizzazione. In tale logica la priorità viene data alla costituzione e gestione del transfert, all’ascolto della parola del soggetto, ed alla utilizzazione prudente ed accorta del controtransfert.
L’allievo verrà comunque, primariamente, sostenuto e motivato a compiere un adeguato percorso di conoscenza di se, sia nella forma gruppale che individuale.
In questo stile nella conduzione della relazione terapeutica, e nel suo fare riferimento all’insieme delle scienze elencate in più parti di questa presentazione, è possibile cogliere alcuni degli aspetti peculiari dell’orientamento didattico e formativo dell’ISdSF.
Secondo questo percorso, l’Istituto Superiore di Studi freudiani provvede all’insegnamento di tipo post-universitario, così come determinato dalla legge dello Stato.